Anser anser Picnic Party

Le folle di metamorfosi, l'incoerenza

PXL_20250731_111910215

È passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ho scritto qui. Recentemente mi ero promesso di impegnarmi più spesso nella scrittura. Innanzitutto, mi aiuta a mettere ordine alle mie idee (ed era uno dei motivi per cui ho aperto questo blog) e tiene traccia dell'evoluzione del mio pensiero. Recentemente sono cambiate tante cose nella mia vita, e ho avuto modo di scontrarmi con una serie di avvenimenti che hanno rivisto un po' le mie priorità.
Ho chiuso nuovamente il mio account Instagram. È successo dopo aver ritrovato una parte di me stesso che avevo soppresso ancora una volta per la pressione esterna di "normalizzarmi". Se stai leggendo questo articolo e ti sei iscritto dalla mia ultima storia, ti ringrazio e spero che ci sentiremo presto. Lascerò qui una serie di piccoli racconti e riflessioni su cose avvenute recentemente. Qualcosa forse lo approfondirò in futuro, qualcosa resterà qui. Mi piace l'idea di scrivere questa raccolta di avvenimenti, come un piccolo riepilogo dell'ultimo tempo.

Vergognarsi di scrivere

Ho notato che ogni volta che cerco di scrivere, avverto un blocco comunicativo che mi porta ad avere un tono criptico, come se fosse un tentativo di celare ciò che voglio dire, e allo stesso tempo produrre allegorie e giri di parole che vogliono elevare il significato per estraniarlo dalle catene delle categorie linguistiche... fino a che non si capisce più nulla. Sembra il sintomo di un'insicurezza celata che teme il confronto con gli altri ed evita di esporsi, che si unisce in seconda fase al timore del non soddisfare le aspettative altrui (qualcuno ha mai letto qualcosa qui?). Tuttavia scrivere è esercizio e io avverto questo bisogno. Mi impegnerò a liberarmi di questi complessi. Devo ringraziare in particolare Giusy per avermi dato una spinta in questo senso, ma parlerò di lei più sotto. Abbiamo avuto uno scambio interessante su Big Tech, intelligenza artificiale e social network.

La ricerca del sé e la pressione normalizzante

A luglio ho finito il corso universitario con la Grande Azienda di Consulenza. È stato un annetto lungo in cui è avvenuto un grande mutamento dentro me. Hanno tentato di plasmarmi con la loro narrazione pastorizzata, diretta, efficiente, che ha finito in ultima istanza col farmi ritrovare una parte di me che avevo nascosto e schiacciato.
Mi ero promesso un po' di tempo fa di parlarne ma alla fine non ho scritto nulla.
Prometto che prima o poi racconterò tutto quello che è stato. Ma per ora la cosa che voglio sottolineare è lo scontro tra i miei valori e quelli che hanno cercato di trasmettermi. Ho iniziato questo corso con le mie istanze anticapitaliste e la diffidenza verso la stessa azienda. Il mio obiettivo era trarne quanto più possibile beneficio senza dare nulla in cambio, soprattutto la mia brandizzazione. Tuttavia, l'incapsularmi in un ambiente per molte ore in cui il pensiero ufficiale era quello della bontà dell'azienda di consulenza, del suo network e dei servizi che vende mi ha molto ammorbidito e mi ha convinto per un periodo che non si possa fare a meno di queste enormi conglomerati che tessono le tele dell'interdipendenza complessa. La cosa peggiore, di cui mi sono reso conto piuttosto tardi, è stato il mettermi in competizione con gli altri, ma in una competizione poco onesta in cui vale la decisione dell'élite (che sia di persone o di pensiero) e non i desideri e le richieste individuali. Ho fatto un tirocinio che mi ha lasciato l'amaro in bocca: sono stato letteralmente usato per scopi di diplomazia aziendale, e nulla dei miei desideri e richieste è stato tenuto in considerazione. Sono stato uno dei pochissimi a rimanere senza lavoro e senza una formazione onesta, ma il tutto è stato comunque proposto come alto valore per me e per la mia comunità. Da lì tutto il castello di carta che si era costruito (e che ho lasciato ch si alzasse) è stato spazzato via. Ma è stato così che ho riscoperto me stesso: in realtà ero stato sì condizionato, ma nel frattempo ho tenuto duro non perdendo mai la bussola. Vivo tutto il tempo con due forze laceranti che mi spingono e non riesco a trovare un equilibrio. Da un lato il mio senso di giustizia, i miei valori, sogni, desideri, utopie immaginarie plasmano la mia identità e mi rendono radicale, arrabbiato, sognatore e appassionato. Da un'altra parte la spinta normalizzante che cerca di sopprimere queste peculiarità per farti aderire alla propaganda del consumo e della sopravvivenza del potere, a cui purtroppo devi fare affidamento per continuare a esistere. E si manifestano in ogni forma: dalle piattaforme per comunicare, per la validare la propria identità, al mercato del lavoro, unica fonte di sussistenza in cui devi incasellarti in luoghi comuni che ti rendono desiderabile.

L'incontro con Giusy

Un po' di tempo fa ho avuto un pomeriggio di chiacchiere con Giusy (trovate il suo Substack qui in cui abbiamo parlato di social network e potere strumentalizzante. Il suo obiettivo era scrivere un articolo sul doomscrolling e raccontare un po' di tecnofascismo e feudalesimo tecnologico. Ho notato che parlando mi venivano fuori idee e ricevevo in cambio un sacco di osservazioni originali che pensavo fossero un tantino estreme. Questo è la prima forma di "federazione" con qualcuno di cui parlavo tempo fa (Amina, non hai ancora aperto il tuo spazio) perciò è arrivato il momento di sintetizzare la proposta e creare qualcosa di efficace per tenerlo vivace.
Ho riflettuto anche sull'idea di feudalesimo tecnologico e come, in realtà, potrebbe essere un'opportunità di sostenibilità tecnologica, ambientale e sociale, se distruggessimo la piattaformizzazione privata e l'accentramento di potere economico e strumentalizzante e tornassimo alla tecnologia distribuita.

La tecnologia comunitaria

Come dicevo un attimo fa, mentre parlavo con Giusy di queste cose avevo avuto delle idee su come risolvere alcune problematiche e creare una nuova via per la tecnologia moderna. Non mi ricordo se ho esplicitato queste idee, mi ricordo di averlo fatto e mi ricordo di non averlo fatto. Comunque scusa Giusy, non volevo nasconderti nulla.
Vorrei scrivere un articolo completo in cui parlo di questa proposta. Mentre ci pensavo, ho letto questo sul giornale che mi ha ispirato notevolmente. Decentralizzare la tecnologia, collegare chi può fare con chi non può, raccogliere il potere dei centri di calcolo in ottica cooperativa e comunitaria. C'è molto all'orizzonte per ripensare.

Text fatigue

Faccio una fatica gigantesca a scrivere, soprattutto faccio una fatica gigantesca a rispondere ai messaggi che mi arrivano. Li leggo, penso alla risposta, la elaboro, provo a scrivere, chiudo, ci ripenso, penso a un messaggio ancora migliore, ma non riesco a scriverlo, e resto tutti i giorni con l'ansia che chi mi ha scritto sia ormai irreparabilmente arrabbiato con me. Ma giuro che vi ho risposto. Ma proprio non ci riesco. Odio la messaggistica istantanea, o meglio, odio l'aspettativa sociale creatasi per cui l'esistenza della messaggistica istantanea significa che dobbiamo essere tutti istantanei. Io sono lento, alcune volte velocissimo. A volte per comunicare bisogna elaborare.